La comunità riscopre i suoi antenati, stampatori nel ’500 tra Sabbio e Venezia

Un gruppo di cittadini al lavoro con gli studiosi: un «cantiere delle idee» per un patrimonio di tutti

Aperta la sala polifunzionale e pubblicato il primo Quaderno con il catalogo della opere antiche della collezione.

SABBIO CHIESE. Una pila di libri antichi circondati da mappamondi. È l’installazione simbolica che occupa in questi giorni la sala polifunzionale al piano terra del futuro Museo Stampatori «da Sabbio», nel nucleo storico di Sabbio Chiese. La sala, inaugurata all’inizio di dicembre, è il primo spazio ultimato del museo, per la cui realizzazione si sta ristrutturando un edificio ceduto al Comune dal professor Alfredo Bonomi, anima di ogni studio sulla Valsabbia e la sua storia artistica e sociale.
A lavori ultimati, la sala conterrà installazioni multimediali, ma fin d’ora può essere utilizzata per laboratori e incontri. Essa rappresenta un passo ulteriore verso la costituzione del museo voluto dall’amministrazione comunale per far conoscere la vicenda dei molti stampatori che, partiti da Sabbio nel corso del Cinque e Seicento, finirono a produrre libri in ogni angolo d’Italia (a Venezia in primo luogo) e anche oltre confine.
Nel convegno che ha accompagnato l’inaugurazione è stato presentato il Quaderno n. 1 del museo (un numero zero era uscito nel 2021), contenente il «Catalogo delle cinquecentine e seicentine» possedute dal Comune. In tutto 44 volumi, donati da istituzioni pubbliche, imprese e privati cittadini: «Immaginiamo – spiega Michela Valotti – che possano essere esposti con una turnazione che decideremo in collaborazione con la Soprintendenza, tenendo conto dei vincoli legati all’esposizione di libri antichi».

Museo di comunità. Michela Valotti coordina il Comitato scientifico per la memoria e la valorizzazione degli stampatori di Sabbio Chiese, nella duplice veste di cittadina di Sabbio e ricercatrice del Crea (Centro di ricerca per l’educazione attraverso l’arte dell’Università Cattolica con sede a Milano). È anche parte del gruppo al lavoro composto da una ventina di cittadini di Sabbio «dai 20 agli 80 anni», da un anno al lavoro al «cantiere delle idee» per fare di questo spazio espositivo un «museo di comunità». Saranno loro a farsi carico della gestione, attuando un processo di «responsabilizzazione collettiva intorno al nostro patrimonio librario. Immaginiamo che del prossimo anno si operi più compiutamente: il primo obiettivo è completare l’edificio; nel frattempo procederà il progetto, che ha lo scopo di approfondire le nostre conoscenze per raccontare ad altri, cominciando dalle scuole. Per noi il museo ha senso soltanto in questa dimensione comunitaria».
Del Comitato scientifico fanno parte, oltre a Valotti e Bonomi, anche il vicesindaco Claudio Ferremi, Ennio Ferragio (direttore della biblioteca Queriniana di Brescia), l’esperto bibliofilo Flavio Richiedei ed Elena Ledda, presidente dell’Ateneo di Salò, «che ci sostiene, e conserva una raccolta di volumi antichi tra cui alcuni realizzati dai nostri stampatori». Ferraglio, con il collega Marco Giuseppe Palladino ha curato le schede descrittive dei volumi. Nel Quaderno riepiloga i nomi e le opere degli stampatori «da Sabbio».
Gli stampatori. Prima fra tutte la ramificata famiglia dei Nicolini, che a inizio ’500 frequentarono il grande editore e umanista Aldo Manuzio, per rivelarsi presto «fra i primi capaci di cogliere le opportunità offerte dall’arte tipografica», mostrandosi in grado di «soddisfare gli interessi culturali di un pubblico diversificato». Tra loro si distinse il «Maestro Stefano da Sabio», che pubblicò la prima traduzione in greco volgare dell’«Iliade» e fu «calcographus apostolicus» e compositore di edizioni in greco in un’officina romana.
Molti libri stampati dai Nicolini – come da Comino Ventura, attivo a Bergamo nel secondo ‘500, o dai fratelli Gelmini, che aprirono nel 1584 la prima tipografia stabile di Trento, e da altri ancora – sono nel catalogo del museo di Sabbio. Diverse edizioni sono rare, ne risultano in Italia poche conte censite. Sono testimonianze di una storia aperta ancora ad ampie ricerche; un patrimonio materiale che rimanda a un più ampio patrimonio immateriale di biografie, relazioni, idee, originate dal piccolo borgo lungo il Chiese. //

di Nicola Rocchi
(dal “Giornale di Brescia” del 20/12/2023)